Sicurezza sul lavoro nell’era Covid-19. Ecco cosa sapere

La pandemia da Sars-CoV-2 ha sconvolto la quotidianità in tutte le aziende, mettendo a serio rischio la salute di tutti i lavoratori. Ormai sono lontani i tempi in cui ci si poteva recare a lavoro senza mascherine, senza igienizzarsi insistentemente le mani e senza  rispettare alcun tipo di distanziamento sociale.

È innegabile come la pandemia abbia stravolto le abitudini dei lavoratori instillando nelle  menti delle preoccupazioni che, contrariamente dalle problematiche routinarie aziendali, non potevano essere minimamente immaginabili o prevedibili.

La prima regola per accedere in ufficio ormai è il contenimento del contagio nei luoghi di lavoro. Nel nostro Paese sono stati emessi dei protocolli anti-contagio per assicurare la sicurezza sul lavoro nell’era Covid, da mettere in atto nelle attività produttive commerciali ed  industriali

Cosa evitare per lavorare in sicurezza?

Per garantire la sicurezza sul lavoro nel periodo Covid bisogna anzitutto evitare tutte quelle situazioni rischiose che possiamo qualificare secondo le seguenti variabili:

  • esposizione: la probabilità di entrare in contatto con fonti di contagio nello svolgimento delle specifiche attività lavorative (es. settore sanitario, gestione dei rifiuti speciali, laboratori di ricerca, ecc.);
  • prossimità: le caratteristiche tipiche di svolgimento del lavoro che non permettono un sufficiente distanziamento sociale (es. specifici compiti in catene di montaggio) per parte del tempo di lavoro o per la quasi totalità;
  • aggregazione: la tipologia di lavoro che prevede il contatto con altri soggetti oltre ai lavoratori dell’azienda (es. ristorazione, commercio al dettaglio, spettacolo, alberghiero, istruzione, ecc.).

Nel protocollo di sicurezza si indica dunque che la prosecuzione delle attività produttive può avvenire solo in presenza di condizioni che assicurino alle persone che lavorano adeguati livelli di protezione, ma si aggiunge che “la mancata attuazione del Protocollo che non assicuri adeguati livelli di protezione determina la sospensione dell’attività fino al ripristino delle condizioni di sicurezza”.

Per garantire la sicurezza sul lavoro nell’era Covid bisogna anzitutto limitare tutte quelle circostanze rischiose che possiamo qualificare secondo le seguenti variabili:

  • esposizione: la probabilità di entrare in contatto con sorgenti di contagio nell’esecuzione delle specifiche attività lavorative (es. gestione dei rifiuti speciali, settore sanitario, laboratori di ricerca, ecc.);
  • prossimità: le peculiarità tipiche di espletamento del lavoro che non rendono possibile un sufficiente distanziamento sociale (es. determinati compiti  in catene di montaggio) per un periodo parziale del tempo di lavoro o per la quasi totalità;
  • aggregazione: la tassonomia di lavoro che prevede il contatto con  altri soggetti oltre ai lavoratori dell’organizzazione (es. ristorazione, commercio al dettaglio, spettacolo, alberghiero, istruzione, ecc.).

Nel protocollo di sicurezza si segnala dunque che la continuazione delle attività produttive può avvenire solamente in presenza di condizioni che garantiscano alle  persone che lavorano precisi livelli di protezione, ma si include che “la mancata attuazione del Protocollo che non assicuri adeguati  livelli di protezione determina la sospensione dell’attività fino al ripristino delle condizioni di sicurezza”.

Cosa sancisce dunque il protocollo per l’ingresso in azienda in sicurezza?

In concordia con il Governo, il 14 marzo 2020 imprese e sindacati hanno approvato un protocollo per salvaguardare la salute e la sicurezza dei lavoratori dall’eventuale contagio da nuovo coronavirus e garantire la salubrità dell’ambiente di lavoro.  Il protocollo è stato inoltre aggiornato il 24 aprile 2020. È stato confermato anche nel più recente DPCM del 2 marzo 2021, contenente provvedimenti urgenti di contenimento del contagio da Sars-CoV-2 sull’intero territorio nazionale.

Riprendiamo i principi fondamentali relativi all’ingresso in azienda, ad esempio in conformità alla richiesta, per chi si è ammalato, di una attestazione della negativizzazione del tampone.

Queste le parti del Protocollo:

  • “l’ingresso in azienda di lavoratori già risultati positivi all’infezione da COVID 19 dovrà essere preceduto da  una preventiva comunicazione avente ad oggetto la certificazione medica da cui risulti la “avvenuta negativizzazione del tampone secondo  le modalità previste e rilasciata dal dipartimento di prevenzione territoriale di competenza;
  • qualora, per prevenire l’attivazione di focolai  epidemici, nelle aree maggiormente colpite dal virus, l’autorità sanitaria competente disponga misure aggiuntive specifiche, come ad  esempio, l’esecuzione del tampone per i lavoratori, il datore di lavoro fornirà la massima collaborazione.

La sanificazione straordinaria e le mascherine negli spazi comuni

Per quanto concerne la sanificazione ci sono dei provvedimenti cautelativi specifici per supportare la sicurezza sul lavoro nel periodo Covid. Si segnala che “nelle aree geografiche a maggiore endemia o nelle aziende in cui si sono registrati casi sospetti di  COVID-19, in aggiunta alle normali attività di pulizia, è necessario prevedere, alla riapertura, una sanificazione straordinaria degli ambienti,  delle postazioni di lavoro e delle aree comuni, ai sensi della circolare 5443 del 22 febbraio 2020”.

Riguardo poi a quanto dichiarato sui dispositivi di protezione si include che nella declinazione delle misure del Protocollo all’interno dei luoghi di lavoro sulla base del  complesso dei rischi valutati e, a partire dalla mappatura delle diverse attività dell’azienda, si adotteranno i DPI idonei. È previsto, per tutti i  lavoratori che condividono spazi comuni, l’utilizzo di una mascherina chirurgica, come del resto normato dal DL n. 9 (art. 34) in combinato con il DL n. 18 (art 16 c. 1)”.

Anche circa la gestione dei soggetti sintomatici in azienda si sottolinea che “il lavoratore al momento  dell’isolamento, deve essere subito dotato ove già non lo fosse, di mascherina chirurgica”.

Riorganizzazione aziendale e distanziamento sociale

Per garantire la sicurezza sul lavoro nell’era Covid è indispensabile ripensare all’organizzazione aziendale. Dopo le varie indicazioni che riguardano la rimodulazione dei livelli produttivi, la diminuzione dei contatti e, specialmente, l’utilizzo dello smart working (leggi anche Differenza tra Smart Working, Remote Working e Telelavoro: ecco cosa sapere), si aggiunge che “il lavoro a distanza continua ad essere favorito anche nella fase di progressiva riattivazione del lavoro in quanto utile e modulabile strumento di prevenzione, ferma la necessità che il datore di lavoro garantisca adeguate condizioni di supporto al lavoratore e alla sua attività (assistenza nell’uso delle apparecchiature, modulazione dei tempi di lavoro e delle pause)”.

Riguardo all’organizzazione sono poi riportate altre indicazioni:

  • “è necessario il rispetto del distanziamento sociale, anche attraverso una rimodulazione degli spazi di lavoro, compatibilmente con la natura dei processi produttivi e degli spazi aziendali. Nel caso di lavoratori che non necessitano di particolari strumenti e/o attrezzature di lavoro e che possono lavorare da soli, gli stessi potrebbero, per il periodo transitorio, essere posizionati in spazi ricavati ad esempio da uffici inutilizzati, sale riunioni;
  • per gli ambienti dove operano più lavoratori contemporaneamente potranno essere trovate soluzioni innovative come, ad esempio, il riposizionamento delle postazioni di lavoro adeguatamente distanziate tra loro ovvero, analoghe soluzioni;
  • l’articolazione del lavoro potrà essere ridefinita con orari differenziati che favoriscano il distanziamento sociale riducendo il numero di presenze in contemporanea nel luogo di lavoro e prevenendo assembramenti all’entrata e all’uscita con flessibilità di orari;
  • è essenziale evitare aggregazioni sociali anche in relazione agli spostamenti per raggiungere il posto di lavoro e rientrare a casa, con particolare riferimento all’utilizzo del trasporto pubblico. Per tale motivo andrebbero incentivate forme di trasporto verso il luogo di lavoro con adeguato distanziamento fra i viaggiatori e favorendo l’uso del mezzo privato o di navette”.

Il ruolo del medico competente e la sorveglianza sanitaria

Concludiamo con le novità relative al ruolo del medico competente e alla sorveglianza sanitaria che, come già indicato precedentemente, deve “proseguire rispettando le misure igieniche contenute nelle indicazioni del Ministero della Salute”.

Nel Protocollo si indica che:

  • “il medico competente applicherà le indicazioni delle Autorità Sanitarie. Il medico competente, in considerazione del suo ruolo nella valutazione dei rischi e nella sorveglianza sanitaria, potrà suggerire l’adozione di eventuali mezzi diagnostici qualora ritenuti utili al fine del contenimento della diffusione del virus e della salute dei lavoratori” (ad esempio tamponi);
  • “alla ripresa delle attività, è opportuno che sia coinvolto il medico competente per le identificazioni dei soggetti con particolari situazioni di fragilità e per il reinserimento lavorativo di soggetti con pregressa infezione da COVID 19”.

Si indica poi che è raccomandabile che la sorveglianza sanitaria “ponga particolare attenzione ai soggetti fragili anche in relazione all’età”.

Inoltre per il reintegro progressivo di lavoratori dopo l’infezione da Covid, “il medico competente, previa presentazione di certificazione di avvenuta negativizzazione del tampone secondo le modalità previste e rilasciata dal dipartimento di prevenzione territoriale di competenza, effettua la visita medica precedente alla ripresa del lavoro, a seguito di assenza per motivi di salute di durata superiore ai sessanta giorni continuativi, al fine di verificare l’idoneità alla mansione (D.Lgs 81/08 e s.m.i, art. 41, c. 2 lett. e-ter) – anche per valutare profili specifici di rischiosità – e comunque indipendentemente dalla durata dell’assenza per malattia”.

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